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artista Bianco Paride
Bianco Paride

BIOGRAFIA PARIDE BIANCO
a cura di Giuliana Donzello
Paride Bianco nasce il 2 marzo 1944 a Martellago (VE), dove la famiglia sfollata trova rifugio dalla guerra.
È discendente per linea materna da Domenico Zampieri, detto il Domenichino ed è riconosciuto grande erede della tradizione coloristica veneta.
Nasce “artisticamente” a Milano.
 
Formazione –  Disegna e dipinge fin da giovanissimo guardando i musei, la Biennali, le gallerie storiche (Il Traghetto, Il Cavallino…), si appassiona e copia. Ma la famiglia è bisognosa: Paride deve pensare a lavorare; abbandona perciò l’idea di studiare pittura, per la frequenza di un istituto tecnico.
Isolato dagli ambienti deputati, studia e dipinge nella soffitta della casa di Mestre, dove la famiglia è ritornata dopo la guerra.
Apprendistato – da Autodidatta, nella Venezia di Novati, Seibezzi, Guidi, Gianquinto, Borsato guarda ad Armando Pizzinato, di cui condivide l’idea politica, lo studio dei segni (Il partigiano) e il concetto di rapporto artista-tempo.
Cresciuto nello spirito sessantottino a vocazione antiaccademica, Paride studia la storia dell’arte, l’anatomia artistica, si confronta con altri giovani artisti e tenta una prima esperienza in linea con lo spazialismo, nella sua prima mostra di disegni a china alla Galleria “La Torre” di Mestre (1968), il cui originale de “Dietro un recinto” è conservato nella documentazione dell’A.S.A.C (Archivio storico delle arti contemporanee della Biennale di Venezia).
L’incontro con il gallerista Graziani è determinante, poiché vede in lui un potenziale grande colorista e lo incita a seguire la sua strada.
Nel 1970 sposa Giuliana Donzello, che gli dà una figlia, e la cui figura diventerà fondamentale per il suo futuro d’artista.
Inizia il periodo della neofigurazione e dell’espressionismo astratto con prestiti baconiani che apre alle mostre della Galleria Bevilacqua La Masa” di Venezia.
Nel 1971 ottiene il premio acquisto del Comune di Venezia per l’opera “Uomo della borghesia”, oggi alla Galleria d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro, mentre opere analoghe, come il “Don Chisciotte” e “Agosto a Roma” entrano a far parte di collezioni private.
Un secondo evento importante è la frequentazione di Milano e dei galleristi Fumagalli, Schwarz e Gianferrari. ai quali porta i quadri in visione. Sono gli anni in cui i galleristi sono profondi conoscitori non solo del mercato, ma sanno come orientare i giovani e distinguere con severità il bello dal non bello, l’irrisolto dal superfluo nelle loro opere.
Insieme a Gianfranco Quaresimin e Giuliano Agostinetti  affronta per Meneghini dell’omonima Galleria di Mestre (VE) il tema “3 modi di toccare”, a partire dal pensiero di W. Reich sui blocchi psicocorporei e le strutture caratteriali.
Lawrence Johns e Maurizio Scudiero riconoscono in lui l’erede delle emozioni di Boccioni e di Kandinskji , vicino alle  creazioni di Depero, e assai di più al linguaggio compositivo del Severini della serie “Il boulevard”.
Ricerca – Dopo le prime esperienze che lo portano a riflettere e a rivedere l’impostazione scolastica del concetto di luce, Paride si immerge completamente nel colore. Ristudia i metodi per fabbricare i colori, mesticare le tele, usare le colle vegetali come la resina di pino o la lacca sciolta in alcool. Inizia a studiare Arnheim e Merleau-Ponty, ma anche i grandi filosofi del linguaggio, da Benjamin a Popper, ma è di Benveniste per il quale “la realtà di un oggetto non è separabile dal metodo impiegato a definirlo” la porta che apre alla stagione dell’Ostatismo, imperniata sulla verifica della possibilità espressive del calco.
Poetica – Tutta la ricerca di Paride Bianco si può datare dalla visita alla Guggenheim negli Anni Settanta, dov’erano esposte “La vestizione della sposa” e “L’antipapa” di Max Ernst.
A differenza di M Ernst, la cui ricerca del frottage è su come evitare l’applicazione diretta del colore e con quali mezzi ottenere la forma o l’oggetto pittorico da materiale estraneo, Paride utilizza un bassorilievo, lo organizza in funzione di una visione che risponda alla sua necessità compositiva. Non vi è nulla di occasionale o di metaforico: la superficie del calco è progettata per ottenere un risultato che accolga il fondamento dell’opera, lasciando al colore il riscatto delle emozioni e del dialogo.
Mentre queste composizioni hanno determinate affinità, l’intento dell’artista va oltre le considerazione tautologiche del linguaggio critico, creando, o meglio ricreando il linguaggio mistico dei sogni. Come ebbe a scrivere Lawrence Johns (2001), “le emozioni potenti e spesso sconosciute, generate dalla serie dei “Sogni della Madre Terra” possono essere soddisfacentemente capite permettendo alle immagini astratte di lavorare sull’inconscio. Queste sensibilità complicate sembrano essere simultaneamente nuove e vecchie, moderne e primitive, ma non vediamo archetipi di Jung, nessun simbolismo di Freud. E la “madre” del titolo? è Gaia, la Madre Terra, e questi sono i suoi sogni”.
Con la ricerca del calco inizia la grande stagione del conscious, la materia che dà informazione, suggerisce all’artista cosa deve fare e come deve intervenire.
L’azione lascia qui il campo al progetto, quindi a un pensiero riflesso che esige una regola, un protocollo del fare, e nell’operare il senso resta costantemente attivo (lezione di Ernst è precisa).
Se, come asseriva Leonardo, “la pittura è cosa mentale”, nell’approntare il suo calco Paride sa già come dove intervenire: lavorando consciamente, evita di richiedere al “caso”, all’irrazionale, alla secchiata di colore o alla spennellata e agli schizzi incontrollati ed incontrollabili di partecipare, non solo, ma di essere la parte strutturata dell’intera opera. L’ostatismo di Paride Bianco sta nella forma del calco che è l’essenza della cosità.
Tutta l’attenzione è diretta alla riduzione del contagio, cui un’opera aperta si consegna per la sua stessa natura, cercando di non staccarsi mai dal “senso” dato al calco, accettando comunque quei “suggerimenti” che il lavoro  impone e rende ricco di visioni. Innanzi tutto il tachisme, ovvero delle tracce che il raschietto o il rilievo della matita fa risaltare: “riscatti” che diventano componenti fantastiche della struttura dell’opera.
L’utilizzo della paraffina calda e di un bassorilievo tarato negli spessori, per realizzare opere di grande poesia (ritratti, paesaggi, e più tardi composizioni astratte), porta alla maturazione della stagione dell’ostatismo.


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